Storia della Basilica

il colle della capriola

Chi volga lo sguardo fuori da Siena dalla porta d’Ovile, verso est, incontra ancora, prima di ogni altro particolare del paesaggio, la rotonda figura della cupola addossata al campanile dell’Osservanza e sovrapposta alle lunghe mura del convento.

La storia del colle della Capriola inizia con la fuga dalla confusione cittadina e dagli egoismi secolari di un nobile che poco dopo la metà del trecento aveva trasformato un suo possedimento da quelle parti in un luogo di preghiera.

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E’ quella sagoma color del mattone che richiama l’attenzione e richiama la vista sul paesaggio collinare. L’effetto non deve essere tanto dissimile da quanto voluto dagli architetti che tra quattro e cinquecento idearono quell’aspetto affinchè il convento e la Chiesa bernardiniani dialogassero dal Colle della Capriola con i colli di Siena. Chi poi volesse incamminarsi per i due chilometri che separano le mura cittadine dall’Osservanza, troverebbe ora irrimediabilmente interrotta dall’ultima sistemazione (1998) della viabilità stradale di via Simone Martini e della strada ferrata, la via attraverso i campi che conduceva al Convento. Si trattava di un antico percorso, alternativo al raggiungimento del luogo attraverso la via Chiantigiana e la via Scacciapensieri, che conducono alla Capriola aggirandola dalla parte delle colline del Chianti, con un’impressione altrettanto suggestiva per l’arrivo sul colle. La via attraverso i campi si staccava invece verso sinistra dalla Chiantigiana alla località detta della Madonnina Rossa: vicino a quel gruppo di case, fino agli anni trenta del novecento, quando fu demolita, esisteva ancora la cappellina eretta nel 1548 in mattoni, che pare fossero rossi come quelli del vicino ponte (o forse il rosso del toponimico si deve al manto della Vergine) che ospitava l’affresco cinquecentesco con Crocifissione, Santi e gruppo dell’Addolorata, attribuito a Giomo del Sodoma o al Riccio, ora traslato nella prima cappella a destra della basilica. La gente del luogo più non ricorda la cappellina della Madonnina Rossa, anche se tutti saprebbero indicare la strada dei Frati, che sale al convento. Chi riuscisse ad imboccarla, una volta traversata la ferrovia, per una via ancora ufficialmente intitolata all’Osservanza ma indicata senza sfondo, e a percorrerla attraverso i campi, potrebbe ascendere per tre-quattrocento metri l’antica via bernardiniana, lungo la quale, fino all’ottocento, si celebrava la via crucis. All’angolo ovest del muro del convento incontrerebbe il Santo benedicente Siena in una effige in terracotta di dimensioni ridotte: un’interessante immagine acroteriale realizzata in originale quanto efficace plasticità espressionista, che nel 1999 ha sostituito una terracotta deteriorata di uguali dimensioni degli anni venti.

La campagna collinare intorno all’Osservanza mantiene l’aspetto tradizionale, per quanto lambita a ovest dalla grande rivoluzione urbanistica di S.Miniato e del Nuovo Policlinico, che procurano un notevole aumento del traffico stradale anche per la viabilità secondaria che conduce alla basilica tra platani secolari. Alcuni nuclei residenziali sviluppatisi nel secondo dopoguerra e negli ultimi decenni non stravolgono il profilo delle colline che si frappongono tra la città e i rilievi del Chianti. Nel corso dell’ottocento e del primo novecento le ville nobiliari della zona si erano impreziosite in vari stili, dal classico al neogotico al liberty: le annesse proprietà appoderate non avevano grandi dimensioni, vista l’alta redditività delle zone limitrofe al suburbio. La costituzione di queste proprietà aveva fornito una nuova struttura alla organizzazione mezzadrile già esistente, facente capo a più ampi latifondi e scandita nei secoli precedenti solo dalla presenza di diverse realtà parrocchiali o suffraganee, costituite a loro volta dalla trasformazione di antiche pievi o oratori rurali.

Al tempo in cui possiamo far iniziare la storia del nostro monumento, nella seconda metà del trecento, le pievi rurali, per quanto modeste di dimensioni e di sostanze, cominciavano ad essere valorizzate da qualche affresco o da qualche pala d’altare, tanto che possiamo pensare, per l’epoca bernardiniana (prima metà del quattrocento), ad un ambiente devozionale e di religiosità popolare dalle caratteristiche abbastanza omogenee. Pievi di semplice costruzione, abbellite qualche volta da affreschi di buona mano quattrocentesca (si vedano come uno dei pochi esempi rimasti i resti di muro affrescato nella pieve di S.Regina in val di Pugna), alternati a cappelline e tabernacoli effigiati e a luoghi adibiti ad eremo per la vita contemplativa di qualche senese in fuga dalle tentazioni e dalle violenze della vita cittadina. Le trasformazioni sette-ottocentesche di queste realtà parrocchiali e di culto non annullano l’impressione che ancora si ricava percorrendo la zona di cui trattiamo, mediana tra i tre colli di Siena e la zona del Chianti, a partire dalla pieve di Cellule lungo il torrente Bozzone, a quella di S.Michele Arcangelo, delle Tolfe, a Vignano, S.Regina e fino a Dofana nella zona di Montaperti, ed incontrando la costellazione delle ville dei secoli successivi: il Castagno, Monaciano, Solaia, Serraglio, Poggio ai Pini, La Selva, Gori-Pannilini, Terraia, Pancole.

La storia del colle della Capriola inizia proprio con la fuga dalla confusione cittadina e dagli egoismi secolari di un nobile che poco dopo la metà del trecento aveva trasformato un suo possedimento da quelle parti in un luogo di preghiera. Il suo nome era Stricoccio Marescotti ed aveva dedicato questo suo intimo eremo a S.Onofrio: come tale lo stesso Stricoccio lo donò nel 1392 allo Spedale di S.Maria della Scala, di cui era nel frattempo divenuto oblato (confratello dell’ordine che gestiva le attività assistenziali).

Il Marescotti morirà agli inizi del nuovo secolo, e sarà nel corso del quattrocento che sul colle della Capriola si svilupperà un luogo di vita religiosa di grande peculiarità, quanto originali saranno le scelte architettoniche che ne costituiranno lo scenario e che individueranno l’Osservanza nella sua straordinaria presenza tra i colli circostanti.

S.BERNARDINO DEGLI ALBIZZESCHI 

Nell’anno 1400, Bernardino degli Albizzeschi aveva interrotto gli studi giuridici per curare gli appestati presso lo Spedale di S.Maria della Scala. La Sua vocazione lo condurrà nei mesi successivi ad esplorare la via dell’eremitaggio, imitando la vita dei numerosi uomini di tutte le età che fuggivano per questa scelta negli eremi antichi o improvvisati sui colli intorno alla città. Può darsi quindi che Bernardino abbia allora conosciuto il vecchio Stricoccio Marescotti, un nobile che poco dopo la metà del trecento aveva trasformato un suo possedimento sul colle della Capriola in un eremo intitolato a S.Onofrio, donato poi nel 1392 allo Spedale di S.Maria della Scala. 



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A Bernardino sarebbe poi toccato trasformare in fondazione conventuale. Come infatti la vocazione bernardiniana si trasforma nei due anni successivi in direzione di una ben precisa e determinata scelta di esistenza claustrale, così il Colle della Capriola, scelto a tal fine dal giovane francescano, diverrà da uno dei tanti eremi sui colli di Siena il luogo di una realtà conventuale destinata ad un grande sviluppo architettonico nei decenni successivi.

La rinuncia ai pasti di cicerbita cruda (dieta fissa dei tanti romiti) attuata dall’Albizzeschi in favore di una vocazione francescana orientata verso il movimento della Regolare Osservanza (vedi appendice), va di pari passo con lo svilupparsi della vocazione di predicatore, in armonia con la presenza in Lui di eccezionali capacità intellettuali, subito del resto notate dai Superiori che presenziarono l’entrata di Bernardino nell’Ordine dei Frati Minori, nell’anno 1402. Si tratta di un passaggio di straordinaria importanza non solo nella storia dell’Ordine e nella biografia del Santo, ma anche nella storia della cultura senese. E’ certa l’influenza che le prediche bernardiniane ebbero da un lato nella formazione del particolare ambiente umanistico senese, dall’altro sulla stessa organizzazione sociale della città. Si pensi per esempio all’immediato diffondersi dell’immagine stessa del Santo nella pittura della seconda metà del quattrocento, all’importanza assunta dal celebre monogramma con il Nome di Gesù nella simbologia ufficiale dello stato senese e alle leggi del 1425, sicuramente influenzate dalle prediche bernardiniane, volte a colpire corruzione dei costumi, usura, bische ed eccessivi fasti del vestire. Accanto a queste visibili tracce, rimane comunque, come più profondo retaggio intellettuale, la creazione di corsi predicati non certo ispirati alla pura inventiva drammatica, quanto nati sulla base di conoscenze vaste e profonde delle Scritture e di capacità esegetiche sorte dalla continua frequenza dei testi. In tal senso, la predicazione bernardiniana dà inizio a Siena ad un ambiente intellettuale di tipo umanistico dalle marcate peculiarità rispetto alla grande stagione quattro-cinquecentesca fiorentina e romana, ed orientato verso una ricerca autonoma  di indubbio interesse per la storia della cultura oltre che per quella devozionale.

Bernardino richiede allo Spedale della Scala il romitorio di S.Onofrio sulla Capriola nel 1404, e ne ottiene la concessione anche per la fama già solida che la Sua persona riscuote, in aggiunta ai meriti conseguiti anni prima da giovane studente nella cura degli appestati. L’anno successivo è ormai presente sul luogo una prima comunità di Frati Minori che seguono la Regolare Osservanza, abbracciata da Bernardino al Suo ingresso nell’Ordine. E’ dunque dal 1405 che possiamo parlare di un convento dell’Osservanza sulla Capriola, anche se il luogo sarà per almeno due decenni dedicato ancora a S.Onofrio e poi, per volontà del Fondatore, alla Vergine Assunta. Qui Bernardino risiederà abbastanza regolarmente durante i Suoi soggiorni senesi e soprattutto svolgerà fin dagli inizi la Sua opera di fondatore e organizzatore della nuova comunità. I soggiorni di Bernardino sulla Capriola coincidono con le date delle grandi prediche nella città. I primi saggi sono riconducibili proprio agli anni 1405-1406: subito dopo doveva iniziare un’attività di apostolato e di predicazione regolare. Sappiamo di prediche nella Cattedrale e a S.Francesco, nei lunghi periodi trascorsi a Siena prima della partenza, nel 1417, per l’Italia settentrionale. Dal 1425 abiterà di nuovo a lungo sulla Capriola, in coincidenza con le celebri predicazioni degli anni 1425-1427 (sono le prediche in S.Francesco e nel Campo, raffigurate da Sano di Pietro nelle tavole conservate nel Capitolo della Cattedrale e da Neroccio di Bartolomeo Landi in una tavola nel Palazzo Pubblico). Dal 1425, il monogramma con le lettere I.H.S (Iesus Hominum Salvator, Gesù Salvatore degli Uomini) racchiuse in una raggiera, è posto nella facciata del Palazzo Pubblico, a testimonianza dell’importanza cittadina della predicazione bernardiniana e in corrispondenza con l’interesse che lo stato senese mostra per lo sviluppo del convento sulla Capriola: dal 1423 al 1430, con contributi pubblici, viene eretta la prima chiesa, la cui facciata era ubicata nella posizione di quella attuale (segni di questo manufatto furono visibili tra i mattoni pericolanti della facciata successiva semidistrutta dal bombardamento del 1944) e la cui pianta, compresa la cappella dell’altar maggiore, doveva occupare in lunghezza i limiti della navata fino all’attuale arco trionfale, ed estendersi in larghezza per circa la metà dell’attuale navata. Sull’altare maggiore, lo stesso Bernardino aveva fatto disporre una grande pala con un’immagine della Madonna, da attribuirsi al Sassetta, scomparsa probabilmente nel seicento e riproducente l’affresco venerato dal Santo sopra l’antiporto di Camollia. Viene anche ampliato il primitivo complesso conventuale, con la costruzione di celle intorno ad un piccolo chiostro nella zona dell’attuale chiostro centrale (sul lato ovest della chiesa, a destra per chi ne guardi la facciata) e con alcuni annessi tra cui un refettorio, unico manufatto ancora strutturalmente esistente come sala parrocchiale e per il pubblico del teatrino (vi si accede ora dal chiostro cinquecentesco). Tra le varie vicende della Sua vita, il Santo abiterà per lunghi periodi alla Capriola negli anni successivi, predicando ancora in Siena. Se ne allontanerà nel 1444, diretto a L’Aquila, dove arriverà poco prima del sopraggiungere della morte (vedi appendice). La cella del Santo, ricostruita nel luogo attuale dopo vari spostamenti, ne conserva gli indumenti originali, restituiti al convento dopo la morte, e poco altro. Resta invece sul colle l’impronta data dal Fondatore al convento dell’Osservanza e il suo particolare rapporto con la città dei tre colli: tale spirito sarà rispettato nella prima grande epoca di aggiunte strutturali al complesso conventuale, nei cento anni che seguono.

LE GRANDI AGGIUNTE DEL 400 E 500

Ogni aggiunta degli architetti di questi secoli agli edifici più modesti del tardo medioevo è un tentativo di interpretare a fondo i motivi dell’esistenza del monumento: chi metterà mano a trasformare l’Osservanza dopo la morte del Santo, la Sua canonizzazione (1450) e la dedica a Lui della Chiesa appena consacrata sulla Capriola (1451), non verrà meno a questa vocazione.

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L’esistenza dell’Osservanza di Siena si lega subito al senso di continuità con il ruolo avuto dall’Albizzeschi nella storia dell’Ordine dei Frati Minori. Abiteranno nel convento numerosi continuatori della vocazione all’apostolato di predicazione, figure dotate di profonda cultura e legate alle grandi correnti del dibattito filosofico e teologico. Anche attraverso il loro peregrinare tra conventi e città, la comunità senese si inserirà presto organicamente nella costellazione dei conventi dell’Osservanza francescana. 

E’ opportuno ricordare qui solo alcune personalità a titolo di esempio, come i Santi Giovanni da Capistrano e Giacomo della Marca, per il loro sodalizio spirituale con Bernardino e il ruolo nell’Ordine; Alberto da Sarteano e Ludovico di Pietro Landini, predicatori valenti ed umanisti; infine Petruccio d’Andrea Caturnini, che nel 1476 sarà tra coloro che esamineranno il progetto della nuova basilica. Si svilupperà inoltre nel convento, a testimonianza delle competenze filologiche e del rispetto per i testi dello stesso fondatore, uno scriptorio di tutto rilievo nel quattrocento toscano, che accoglierà l’opera di insigni miniatori, come Iacopo di Filippo Torelli e Giovanni di Piero da Siena, autori delle miniature di corali e antifonari conservati nel museo conventuale (vedi appendice). Del 1444 è la prima notizia sulla costruzione, a spese pubbliche, di una biblioteca. Nell’anno 1460 papa Pio II (il senese Enea Silvio Piccolomini, dotto umanista) soggiorna sulla Capriola e tiene concistoro nel convento. Sembrano essere molto lontani i giorni in cui l’Albizzeschi cominciava a trasformare un modesto eremo in convento dell’Osservanza francescana o quelli in cui lo stesso Bernardino doveva temere l’istruttoria da parte della curia romana per sospetti di eresia nella predicazione del Nome di Gesù. La fondazione bernardiniana sulla Capriola è ormai pronta per uno sviluppo architettonico che faccia corrispondere la veste esteriore e la complessità della struttura al ruolo che la comunità monastica va ricoprendo nella vita dell’Ordine e al prestigio spirituale assunto nella vita cittadina. L’inizio di questo sviluppo è legato al nome del nobile senese Pier Paolo d’Ugolino Ugurgieri. Già guardiano all’Osservanza, ed ora, nel 1474, vicario della provincia francescana di Toscana, l’Ugurgieri presenzia un capitolo tenutosi a S.Lucchese di Poggibonsi, del quale ci rimane iscritta a verbale una precisa relazione sui criteri fissati per l’ampliamento della chiesa sulla Capriola, con l’indicazione di caratteristiche estetiche e dimensioni che siano ispirate alla regola francescana e di conseguenza evitino omne superfluità in grandezza e in curiositade de pietre concie e dipenture. Il capitolo delibera l’inizio della costruzione, fissa con precisione le dimensioni della navata, del coro e della cappella dell’altar maggiore e lascia libera la determinazione dell’altezza secondo richiede la rasgione di detto hedificio. Vengono infine nominati dei frati architectori, sotto la direzione dei quali iniziano presto i lavori, visto che l’anno successivo già si richiede un cospicuo finanziamento (prontamente concesso) al comune, alludendo al già intrapreso ampliamento della chiesa bernardiniana. I lavori proseguono per oltre quindici anni: si sfruttano all’inizio mura e strutture della primitiva chiesa, ampliandola verso est e verso la città. Si conoscono anche resistenze da parte di alcuni frati contrari all’ampliamento in nome della conservazione intatta del luogo bernardiniano. Non è del tutto precisato invece il ruolo che, accanto ai frati architettori e fabbricieri, assumono i due architetti di chiara fama che sicuramente pongono mano alla costruzione della nuova chiesa. Francesco di Giorgio Martini deve aver collaborato alla revisione dei criteri del capitolo di S.Lucchese prima del suo trasferimento ad Urbino nel 1477 e deve aver periodicamente collaborato alla fabbrica sulla Capriola durante alterne presenze a Siena nel periodo urbinate, occupandosi poi delle rifiniture ornamentali dopo il suo definitivo ritorno a Siena nel 1489. Insieme a lui certo sarà sempre stato il discepolo e collaboratore Giacomo Cozzarelli, autore dei successivi ampliamenti conventuali. Possiamo pensare ad una continuità di ispirazione architettonica nei lavori garantita dai frati architettori, tanto abili nella conduzione quotidiana della fabbrica, quanto capaci di seguire gli indirizzi della moderna rinascenza inseriti nel progetto dal Martini. Il nuovo edificio si dispone così a rappresentare la modesta eleganza dell’Ordine mentre d’altra parte entra, per effetto del tocco martiniano, in una rete ideale di realizzazioni rinascimentali tra le quali è opportuno citare le realizzazioni martiniane di S.Bernardino a Urbino e del Calcinaio ai piedi di Cortona. Molti i problemi che vengon fuori durante la fabbrica, che deve concludersi non prima degli anni novanta: è probabile che proprio dalla proposizione dei problemi tecnici rilevati dai frati che dirigevano i lavori, la sagacia architettonica di Francesco di Giorgio abbia escogitato le soluzioni di sobria eleganza francescana tipiche dell’Osservanza. Senz’altro soddisfatto della vista della Capriola con il profilo trasformato dalla nuova chiesa, il Martini sceglie di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in prossimità del Colle e ne elegge la cripta a sua sepoltura. La cripta stessa, del resto, è frutto di un inserimento non presente nel progetto originario, forse imposto dalla questione delle fondazioni delle strutture della nuova chiesa sul fianco est della primitiva, in uno scoscendimento ancora evidente del terreno. L’inserimento ai lati della navata delle otto cappelle è invece determinato dalle necessità del culto: l’eccessiva complessità dell’edificio viene subito compensata dalla realizzazione in muratura dei semplici altari e dall’abbandono del progetto di costruzione di cappelle laterali nel presbiterio, che invece rimarrà un ambiente ispirato a semplice linearità, sottolineata poi dalla scelta degli scanni in legno nei due fianchi. Le parti aeree del fabbricato, la cui forma non era dettata dalle primitive intenzioni, vengono interpretate negli esterni secondo i canoni della ormai affermantesi architettura rinascimentale (facciata con timpano, linee con dentellato che corre sulle coperture in laterizi) e negli interni come continuazione dei modesti ornamenti in intonaco grigio delle arcate delle cappelle: tutta la parte soprastante è infatti scandita dall’evidenziarsi in grigio delle linee strutturali (trabeazione e arcature delle volte) sul dominante bianco opaco della calce. Anche l’aggiunta della copertura a tamburo della cupola (originariamente con estradosso in vista), risulta consona ad un canone stilistico cinquecentesco presente in Siena (S.Spirito) ma è forse escogitata come soluzione ad un problema di protezione della cupola originaria. In via di ultimazione il progetto della chiesa, gli anni a cavallo tra quattro e cinquecento vedono iniziare le aggiunte al convento, legate al nome di Iacopo Cozzarelli, certamente già collaboratore del Martini. L’Osservanza ha ora una chiesa con una imponente facciata classica che guarda verso il Chianti, ma con una cupola sottesa dalle lesene della cappella dell’altar maggiore e un campanile (certo meno imponente dell’attuale) che segnalano la Capriola ai senesi come mai prima. La cripta poi è insolitamente orientata in senso contrario alla navata soprastante: l’ingrandimento del convento dovrà continuare ad interpretare questo dialogo con la città, a testimonianza del rispetto per quel Fondatore, che aveva abitato e rese venerande le mura che ora si trasformano. E’ in questo momento che si dirige sull’Osservanza l’attenzione di un committente particolare. I senesi stanno assistendo alla irresistibile ascesa del potere di Pandolfo Petrucci: un signore che incarna machiavellici ideali di lotta politica e che riesce a destreggiarsi con successo nella complessa situazione delle signorie locali e dei potentati europei che si accaniscono per il dominio delle regioni italiane. Pandolfo, mentre assume spesso ruolo di dominatore di Siena, sa alternare alle esibizioni del prestigio personale e familiare atteggiamenti di sobrietà e di semplice eleganza, così come modula le violenze e gli spregiudicati legami con la nobiltà con momenti di più civile adesione alla causa cittadina. Il Cozzarelli, chiamato ad interpretare la passione di un tale personaggio verso il convento della Capriola, riuscirà ad imprimere i simboli della committenza pandolfiana senza offendere lo spirito francescano del luogo e senza alterare l’eleganza martiniana della prima fabbrica. Seguendo gli stessi criteri adoperati per la progettazione del Palazzo del Magnifico (residenza cittadina di Pandolfo), aggiungerà al convento una loggia e un chiostro non interni agli edifici esistenti, ma affacciati sulla valle e su Siena, a completare quel complesso monumentale che aspira a ricordare ai senesi l’astanza del colle di Bernardino. Tra la loggia e la chiesa, il Cozzarelli progetta un’aula capitolare ed una sagrestia costruita sopra un locale accanto alla cripta individuato da Pandolfo come mausoleo della propria famiglia: le ambizioni del Magnifico (così pericolose per lo spirito francescano) ed i suoi simboli araldici vengono citati nella sagrestia soprastante con tale sommessa insistenza, da soddisfare il committente senza tradire la spiritualità del luogo, così come il palazzo cittadino mostra i segni della signoria sulla città con tanta sobrietà da non offendere i passanti, pur mentre le violenze del signore offendono i suoi avversari. Il convento dunque all’inizio del nuovo secolo consta, a partire dal lato sud (verso la città) delle aggiunte pandolfiane e della parte centrale bernardiniana, disposta intorno a due piccoli chiostri che occupano la zona dell’attuale grande chiostro centrale. Gli ampliamenti proseguono a partire dal 1505, per volontà di fra Timoteo Medici da Lucca, guardiano dell’Osservanza, con la costruzione, a settentrione della parte antica bernardiniana, dei locali adibiti a foresteria ed infermeria, disposti intorno ad un nuovo chiostro (quello ancora esistente) con arcate in cotto che sul lato sud si addossa al vecchio refettorio (restaurato in quegli anni dal figlio di Pandolfo) e verso nord completa lo sviluppo del convento in senso longitudinale con i locali per l’accoglienza. Anche il lato occidentale (quello opposto alla chiesa) comincia ad avere il carattere di lunghissima estensione, che conserva per chi lo osservi dalla parte di Scacciapensieri. Ad eseguire i lavori in questo caso sono senz’altro i frati architettori, e dopo la morte di fra Timoteo la fabbrica sarà portata avanti e terminata nel 1518 sotto la guida di fra Girolamo di Niccolò Benvoglienti, con oblazioni, oltre che di altri nobili, di Aurelia Borghesi, vedova di Pandolfo (morto nel 1512). Occorre inoltre far cenno all’ultima aggiunta cinquecentesca, quella cappella della S.Croce, voluta dal notaro Giovanni Pieri accanto al vecchio chiostro di S.Bernardino, che scomparve alla fine del secolo successivo insieme alle altre strutture bernardiniane e agli affreschi che conteneva: la tavola con Crocifisso e Santi del Riccio, dipinta per questa cappella, si trova ora nella terza cappella di sinistra della chiesa.


RICOSTRUZIONI TRA DUE GUERRE

Nei suoi oltre seicento anni di storia, la basilica ha attraversato periodi gi guerre e sciagure, è stata assediata e perfino bombardata, ma ogni volta la volontà popolare e cittadina di veder risorgere il profilo della Capriola, ci ha riconsegnano il monumento nella forma che ci accingiamo ad ammirare  oggi.

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La prima sciagura che si abbatte sulla Capriola è uno degli atti finali di quelle guerre horrende de Italia che nella prima metà del cinquecento mettono tutti contro tutti nella Penisola e la sottopongono alle continue invasioni di armi straniere. Nel 1554-55 la guerra di Siena, combattuta dalle truppe senesi appoggiate dai francesi di Biagio di Montluc contro gli imperiali spagnoli e le truppe di Cosimo I dei Medici guidate dal duca di Marignano, insanguina con continui scontri il contado senese, in zone sempre più prossime alla città, fino a diventare un assedio. Intorno alle mura è un susseguirsi di scontri e di costruzioni rapidissime di fortini nelle zone di volta in volta occupate, tramite la manodopera coatta dei contadini del luogo. La Capriola è occupata alternativamente dai due contendenti. Saranno gli spagnoli a trasformarla in una specie di luogo fortificato nelle parti verso la città e ad attrarre così sulle sue mura le cannonnate senesi dal prato di S.Francesco. In mezzo a tanta violenza, saranno accolti nel convento le 400 bocche disutili (tra cui i gittatelli del S.Maria) che il Montluc espellerà dalla città assediata e ormai affamata. Terminata la guerra di Siena con la fine della repubblica senese, non si può procedere che ai più urgenti restauri delle distruzioni portate dai cannoni e dall’occupazione delle soldatesche. I frati non possono più usufruire della vicinanza del Comune senese e della venerazione per i luoghi bernardiniani. Delibere e finanziamenti dipendono dall’autorità granducale, mentre anche l’ambiente culturale senese si mostra meno sensibile alle necessità.


Nel 1575, al tempo dell’importantissimo rapporto della visita apostolica del Vescovo di Perugia Francesco Bossio, la chiesa ed il convento mantengono comunque ancora il loro aspetto dell’inizio del secolo. Una grande stagione di restauri inizia solo negli anni trenta del seicento. Si tratta all’inizio di restauri sulle singole parti che formano ancora, nella pianta redatta a metà secolo da Fabio Chigi (il futuro Alessandro VII) e conservata negli archivi romani della nobile famiglia, la struttura cinquecentesca a quattro chiostri (quello di Pandolfo, i due antichi bernardiniani e quello cinquecenresco dell’infermeria). Di pari passo con i restauri, la nuova sensibilità barocca porta da un lato l’inserimento di ornamenti interni (stucchi e trasformazione degli altari), le modifiche alle rifiniture e la sostituzione di pale e tele quattro-cinquecentesche, con conseguente stravolgimento dell’atmosfera rinascimentale nella chiesa; dall’altro, com’è tipico della ricerca architettonica del periodo, l’intuizione di nuove definizioni di spazi e di originali rapporti tra luoghi aperti e strutture murarie. Sotto la guida di Celso Maria Billò, francescano di gran prestigio intellettuale all’interno dell’Ordine, si concepisce così la nuova pianta a tre chiostri, con la definitiva distruzione dei luoghi originari bernardiniani (i due chiostri antichi) e l’apertura del più grande chiostro centrale, che, mentre fisicamente separa con un notevole spazio aperto e senza colonnato le due grandi aggiunte cinquecentesche (la loggia di Pandolfo e il chiostro di fra Timoteo), ricompatta le varie strutture conventuali disposte in eccessiva lunghezza e ne fa l’intorno del nuovo grande piazzale. Ai lati maggiori di questo vengono aperti ad ovest un lungo corridoio che dà accesso a tutti i locali da quella parte; sul lato della chiesa uno stretto e lungo passaggio che dalla nuova porta del convento (l’attuale) porta fino alla sagrestia e di lì al convento. Nello stesso tempo, al chiostro di Pandolfo viene tolto il lato verso Siena, mentre i bracci laterali vengono assorbiti nei corpi di fabbricato adiacente (l’uno diviene la stretta aula dell’odierno museo “Castelli” e l’altro corrisponde alle cucine del refettorio settecentesco). Nasce così, per sottrazione, l’attuale loggia “di Pandolfo”, buona interpretazione barocca della sistemazione cozzarelliana, per il bellissimo sguardo che consente su Siena. Scompare l’aula capitolare utilizzata in parte come disimpegno tra presbiterio, sagrestia, scale della cripta e del piano superiore e convento, in parte come base del campanile che si va ricostruendo e ampliando. Dalla nuova sistemazione della loggia di Pandolfo si accederà al nuovo refettorio, che verrà terminato nel 1704, una volta risolti vari problemi tecnici di consolidamento delle fondazioni, al fine di sorreggere al piano soprastante altri locali tra cui la nuova biblioteca.


La storia del nostro monumento nell’ottocento è invece segnata dalle due soppressioni. La prima ebbe luogo nel 1810 per effetto di leggi napoleoniche. Tutta la parte conventuale, ad eccezione degli annessi alla chiesa e di quanto riconosciuto come canonica (essendo già l’Osservanza una sede parrocchiale) viene confiscato come proprietà di un Ordine soppresso. Per cinque anni uno speculatore guadagna sui locali affittati a civili e in parte adibiti a fabbrica di salnitro. I frati possono tornarvi nel 1815 e operare i necessari restauri. Nel 1866, invece, il convento è vittima di una legge del Regno d’Italia per la soppressione degli istituti religiosi. Nel 1874, dopo che alcune parti erano già state consegnate ad alcuni frati come locatari privati, P.Aurelio Castelli riesce ad ottenere la proprietà del convento facendo partecipare un emissario civile dei frati all’asta prevista dalla legge per i beni confiscati. Vari benefattori contribuiscono a questa particolare soluzione contabile del problema (perfino papa Pio IX farà oblazione di 500 lire).


All’inizio del novecento, l’Osservanza mostra quindi l’aspetto assunto nei primi anni del settecento, con il convento riordinato come si diceva e la chiesa fortemente barocchizzata negli interni e in qualche particolare esterno. Dagli altari (compreso quello maggiore) sono scomparse le opere d’arte quattro-cinquecentesche, sia per effetto del gusto secentesco, sia a causa delle due confische. Negli anni venti si inizia un doveroso quanto coraggioso ripristino delle forme e degli ornamenti rinascimentali, con l’eliminazione dall’interno degli stucchi e dalla facciata delle pesanti costruzioni che ne avevano abolito la classicheggiante essenzialità. Incalza però l’ultima e più grave catastrofe: due bombardamenti aerei, il 23 gennaio e il 14 aprile 1944, si accaniscono sulla Capriola. Della chiesa rimangono in piedi alcune strutture murarie laterali, mentre tetto, pavimento e cripta sono un ammasso di macerie tra le quali si confondono i frammenti delle preziose terrecotte. Il convento rimane danneggiato ai piani superiori e nei muri perimetrali. La ricostruzione inizia nel primo dopoguerra e si fonda sul criterio di restaurare la chiesa cinquecentesca nell’eleganza martiniana. I lavori, iniziati nel 1945, si concludono in pochi anni: nel 1949 la chiesa può essere riconsacrata. L’architetto Egisto Bellini, coadiuvato da tecnici e artigiani di valore certo superiore alla loro fama, e la volontà popolare e cittadina di veder risorgere il profilo della Capriola, ci riconsegnano il monumento nella forma che ci accingiamo ad ammirare.